Quando Argan flirtava con De Vecchi

Per quanto su questo tema il dibattito sia aperto, è indubbio che la grande storia – quella capace sul serio di rappresentare un periodo – sia essenzialmente un grande affresco di sintesi. Lo storico per essere efficace deve saper cogliere e trasmettere l’essenziale, senza perdersi nei dettagli. E tuttavia non ci sarebbe grande storia – né grande storico – se non ci fossero, a monte, i ricercatori che scavano negli archivi, e tassello dopo tassello consentono di ricostruire il puzzle.
A questa seconda, indispensabile categoria appartiene Claudio Auria, autore di una illuminante ricerca in una materia decisamente poco frequentata in Italia, al contrario di quanto avviene – ad esempio – in Francia e in Gran Bretagna. Si tratta della storia dell’amministrazione pubblica e, nel caso particolare, della storia dell’amministrazione scolastica italiana tra la fine dell’epoca liberale e i primi anni della Repubblica.

Cosa da specialisti, si dirà. Ma il lavoro di Auria (I provveditori agli studi dal fascismo alla democrazia, 2 voll., pp. 282+315, Fondazione Ugo Spirito, € 25,00), senza pretesa di rivolgersi al grande pubblico, costruito con certosina accuratezza, sottraendo all’oblio le biografie di decine di pubblici funzionari, in realtà fornisce un utilissimo strumento per capire da un lato come si comportarono i dirigenti dello Stato nel trapasso dalla monarchia liberale al fascismo e poi dal fascismo alla repubblica democratica, dall’altro come si sviluppò prima la fascistizzazione e poi la defascistizzazione dell’amministrazione.

Lungo questo itinerario non mancano le sorprese. Chi ricorda, per esempio, che Gentile, con la sua riforma, decimò i provveditori, trasformandoli da provinciali in regionali? Ne rimasero solo venti. Furono dunque i successori del ministro filosofo a rimoltiplicarli e a occuparsi delle loro qualifiche, professionali e politiche. Contariamente a quanto si potrebbe credere, però, Auria nota che le caratteristiche professionali e culturali dei provveditori nominati dai ministri fascisti sono analoghe a quelle dei provveditori “liberali”. La percentuale di provveditori con una militanza fascista diventa significativa solo con Bottai, per calare con Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon. Personaggio, quest’ultimo, che in questo lavoro – nota lo storico Guido Melis nella prefazione – appare “meno incolto e rozzo di come un certo cliché storiografico non l’abbia rappresentato”.

A De Vecchi si deve, tra l’altro, la nomina a provveditore, ad appena 27 anni, di un giovane studioso che farà strada, Giulio Carlo Argan. Nell’amministrazione scolastica il suo sarà un passaggio brevissimo. Ben presto – sempre protetto da De Vecchi – sarà sovrintendente alle Belle Arti e, come si sa, dopo la guerra sarà uno dei massimi storici dell’arte italiani, sindaco di Roma ed esponente del Partito Comunista.
La cosa non deve sorprendere più di tanto. Sia De Vecchi sia Bottai, nota Auria, nominarono provveditori giovani intellettuali, magari privi dei titoli specifici per ricoprire il ruolo, ma “culturalmente validissimi e destinati a prestigiose carriere, anche nel mondo accademico”. Molti di quei giovani intellettuali – da Ernesto Sestan a Carlo Morandi – seguirono nell’Italia repubblicana lo stesso percorso politico di Argan.

Farà eccezione Salvatore Valitutti. Salernitano di nascita, curatore per la Sansoni della mussoliniana Dottrina del fascismo, a trent’anni diventa provveditore a Mantova, per trasferirsi a Perugia nel 1940 e a Perugia rimanere legato per tutta la vita. Professore di filosofia del diritto nell’Università perugina, trasferito a Palermo del 1943, torna nel capoluogo umbro durante la Rsi, che dopo pochi mesi lo mette a riposo. Reintegrato nel dopoguerra, ricoprirà – ormai militante del Pli – diversi incarichi politici, sarà deputato e senatore, fino a diventare nel 1979 ministro della Pubblica Istruzione. A Perugia ha presieduto l’Istituto “Betto”, l’accademia “Vannucchi”, ha insegnato storia delle dottrine politiche, ed è stato rettore della “Stranieri” tra il 1969 e il 1972.

Se Valitutti è il più noto, non mancano nel libro di Auria le biografie degli altri provveditori della regione. A Perugia operarono Francesco Guardabassi (1922-1923), Oreste Rossi (1923-1924), Rocco Murari (1924), Luigi Parmeggiani (1924-1928), Marino Paroli (1928-1932), Giovanni Crocioni (1933-1934), Gaetano Gasperoni (1935-1940), Luigi Costanzo (1943), Aldo Grossi (1944), Filippo Capacci (1944-1948), quest’ultimo reggente nominato dall’autorità militare alleata. A Terni, istituita nel 1927 la Provincia, il provveditorato nasce nel 1936. Provveditori furono: Aldo Grossi (1936-1944), Raffaele Paladino (1944), Salvatore Mazzeo (1944-1947), Roberto Palmarocchi (1948), Mario Ferrara (1948).
Mazzeo, come Capacci a Perugia, fu nominato dagli angloamericani. Un particolare che rimanda a uno dei capitoli più interessanti dell’opera di Auria, cioè all’influenza che le potenze occupanti ebbero sull’amministrazione pubblica italiana. Un’influenza che riguardò – in misura analoga – sia il territorio controllato dalla Rsi e “occupato” dai tedeschi, sia quello controllato dal Regno del Sud e “occupato” dagli angloamericani.

La scuola poteva in teoria non essere compresa tra i settori sui quali esercitare una pressione diretta ed essere lasciata alla gestione delle autorità italiane. Così non fu. Al Nord, i tedeschi si opponevano sistematicamente all’insegnamento della lingua inglese e imponevano provveditori. Al Sud, a cominciare dalla Sicilia, gli angloamericani si dedicarono con grande dispiego di forze a “ricondizionare” la scuola, non solo nominando i provveditori, ma anche imponendo nuovi libri di testo stampati per l’occasione, in particolare nella scuola primaria. Stagione difficilissima, dunque, per i funzionari che operarono in quel periodo, ai quali toccò la rimozione, la sospensione, il collocamento a riposo, l’epurazione, e spesso, dopo qualche anno, il ritorno in ruolo. Con qualche esempio paradigmatico. Auria racconta del provveditore di Mantova Pompeo D’Adamo, rimosso dalla Rsi, epurato, riabilitato nel 1946, ma mai rientrato al suo posto perché il reggente nominato dagli Alleati su indicazione della Dc, Emilio Barana, si rifiutò di passare le consegne. Come dire che la politicizzazione dell’amministrazione scolastica non terminò certo con il crollo del fascismo.

GIANNI SCIPIONE ROSSI
da «Il Giornale dell’Umbria», 28 giugno 2007