Sentieri della Foresta Nera. Politica ed ambiente nel pensiero di Martin Heidegger

di Gianmarco Pondrano Altavilla

// Fin dai primissimi decenni del diciannovesime secolo, in coincidenza da un lato con l’emersione della reazione romantica al razionalismo ed all’universalismo illuminista, dall’altro con l’appello sempre più marcato al concetto di nazione in chiave anti-francese, si assiste nelle terre tedesche al montare di un’attenzione diffusa per il paesaggio, soprattutto silvano, percepito come elemento strutturale della Patria (Heimat).
L’avvento tendenzialmente concomitante della Rivoluzione industriale e della Rivoluzione francese, unito al sostrato di decenni di critica alle verità fondamentali che avevano retto la società europea fino ad allora, avevano condotto l’intero continente ad una fase di rivolgimento epocale, percepita dai singoli come un momento di forte smarrimento ed angoscia. Il nuovo sistema economico li sradicava dal proprio lavoro; le idee di Ragione e di critica toglievano loro ogni fondamento di valore terreno ed ultraterreno; la Rivoluzione, esportata all’ombra delle aquile napoleoniche, li privava di un ancestrale struttura socio-politica e della fede in essa. Innanzi a tutto questo, fu facile ricercare in se stessi e nelle proprie esistenze nuovi appigli cui fare riferimento. Nacquero tante «novelle religioni», tanti credi quanti possono essere gli istinti primordiali dell’uomo, certe volte temperati, più spesso misti insieme in combinazioni non sempre coerenti. Il legame con le proprie origini e la propria terra non fece eccezione. Storia e Natura, la propria Storia, e la propria Natura si ersero come ideali capaci di assicurare senso alla vita del singolo, garantendogli (non senza contraddizioni) di conservare la propria (appunto) individualità, se non altro, come membro di un particolare gruppo, di una particolare nazione.
In Germania, nel caso di specie, la «Storia» originaria cui si poteva far riferimento era quella degli antichi Germani, nobilitata e tramandata da Tacito, permeata di riferimenti al culto panteistico della foresta e delle sue forze; la «Natura» per altro verso, intesa come paesaggio incontaminato, privo dell’apporto umano, era quello tedesco dei fitti boschi di conifere e querce.
La nascita dello «spirito nazionale tedesco» nella sua, spesso contraddittoria, comunanza di spinte individualistico-titanistiche e comunitaristiche; di idolatria delle origini della cultura storica del Volk e di culto panteistico della Natura; soprattutto di atteggiamenti ruralistici ed anti-moderni, legati insieme alla diffusa ansia bellicista (che, stanti i canoni della guerra moderna, nulla poteva avere di bucolico) trovava nel mito del paesaggio antico e degli antichi, nella foresta ancestrale, un vistoso punto di fuga e di sintesi.

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Il saggio completo in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2014-2015, XXIV-XXV, pp. 105-119.

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