Jan Palach e la primavera di Praga

Umberto Maiorca, Jan Palach e la primavera di Praga, Eclettica, Massa 2019

//Non è un romanzo, come suggerisce il sottotitolo, ma un docu-film in forma letteraria questo esile ma importante lavoro che l’autore dedica allo studente praghese suicida in piazza San Venceslao il 16 gennaio del 1969, mentre nella capitale cecoslovacca occupata dai carri armati del Patto di Var- savia sfioriva il sogno del socialismo dal volto umano di Alexander Dubček. A mezzo secolo di distanza il sacrificio di Jan Palach – la “torcia n. 1”, come firmò il suo coraggioso ma vano appello – non ha ottenuto il rilievo che avrebbe meritato, sia da parte della stampa sia da parte della storiografia. Tutto già scritto e già detto in questo lungo torno di tempo, in verità. Ma gli anniversari non servono soltanto a celebrare una memoria. Dovrebbero piuttosto essere colti come occasione di ulteriore studio, a beneficio di un paio di generazioni che poco sanno – al di fuori dell’accademia – di quella tragica stagione che vide mezza Europa dominata col pugno di ferro dal comunismo sovietico. E poco anche allora se ne volle sapere, in un’Italia che faticava a individuare una nuova direzione di marcia dopo il miracolo economico e stava per entrare negli “anni di piombo” con la strage di piazza Fontana del dicembre di quell’anno.

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Il testo integrale in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. I, n. 2, 2019, nuova serie, a. XXXI, pp. 413-414.

Quella voglia di libertà che da Praga brucia ancora

di Danilo Breschi

 

Juan Palach

//Farsi torcia umana per scuotere le coscienze, per svegliare l’anelito di libertà sopito nei cuori impauriti del proprio popolo schiacciato dal potente invasore straniero. Era il 19 gennaio del 1969. Esattamente cinquant’anni fa. Moriva alle ore 15:30, dopo tre giorni di agonia. 73 ore, per la precisione. Il suo nome era Jan Palach. Studente di filosofia, era nato a Praga l’11 agosto del 1948, Aveva dunque vent’anni da poco compiuti, quando vide i carri armati del Patto di Varsavia, inviati da Mosca per porre fine a quell’esperimento cecoslovacco di riforme e introduzione di libertà civili e politiche che è passato alla storia con il nome di “Primavera di Praga”. Il 20 agosto del ’68 la Cecoslovacchia era invasa e Mosca ne ribadiva la condizione servile di satellite dell’imperialistica Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS).
Nel tardo pomeriggio del 16 gennaio 1969 Jan si recò in piazza San Venceslao, al centro di Praga. Si cosparse il corpo di benzina e si appiccò il fuoco con un accendino. Questo fu il suo modo di protestare contro l’occupazione sovietica. Nelle 73 ore di agonia Jan ebbe alcuni momenti di lucidità, tanto da avere notizia dell’eco internazionale che quel suo gesto estremo aveva suscitato. Riuscì anche a rilasciare alcune interviste. Pochissime parole, esalate dal suo corpo ustionato quale testamento delle ragioni che portarono ad un simile martirio.

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Il testo completo in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2019, n. 1, nuova serie, a. XXXI, pp. 305-309.