Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice

Ugo Spirito

Fonte: Treccani.it

Trascorse l’adolescenza tra Caserta e Chieti; in quest’ultima città frequentò il liceo classico Giambattista Vico. Dopo essersi diplomato al liceo classico Giambattista Vico di Chieti, si iscrisse all’Università di Roma dove frequentò le lezioni di diritto penale di Enrico Ferri e di economia politica di Maffeo Pantaleoni e si laureò in legge nel dicembre del 1918 (con la tesi I doveri inerenti al diritto di patria potestà). Meno di due anni dopo, nel luglio del 1920, si laureò in filosofia con una tesi sul pragmatismo (Il pragmatismo nella filosofia contemporanea), seguita da Giovanni Gentile.

Sin da allora divenne uno degli allievi di Gentile. Grazie a lui iniziò la carriera accademica e la collaborazione con alcune autorevoli riviste culturali: nel 1920 entrò nella redazione del Giornale critico della filosofia italiana e nello stesso anno fu nominato assistente presso l’Istituto di pedagogia dell’Università di Roma; dal gennaio del 1923 al luglio del 1924 diresse il periodico di pedagogia L’educazione nazionale, fondato nel 1919 da Giuseppe Lombardo-Radice.

All’avvento del fascismo al potere, fu fra i numerosi discepoli di Gentile che decisero di seguire le orme politiche del maestro. Convinto che il regime di Benito Mussolini avrebbe concluso il processo di formazione della coscienza nazionale iniziato con il Risorgimento, aderì al fascismo, svolgendo un suo specifico ruolo nel mondo delle istituzioni culturali e in quello della politica.

Nel 1925, durante la crisi politica successiva all’omicidio del deputato socialriformista Giacomo Matteotti (giugno del 1924), polemizzò con quanti credevano in una svolta moderata del fascismo e affermò che «gli accordi con i fiancheggiatori e il miraggio della normalizzazione stavano rodendo […] le radici del fascismo» (Lo sviluppo del fascismo, in L’educazione politica, III (1925), 7, pp. 315-320), rischiando di allontanarlo dai propri obiettivi rivoluzionari; in quei mesi affermò che la prima vera prova della coscienza rivoluzionaria si era avuta quando il fascismo aveva compreso che poteva e doveva «fare a meno di tutti i fiancheggiatori e di tutti gli ex presidenti del consiglio» (ibid.). Coerentemente con questa posizione, firmò il Manifesto degli intellettuali fascisti, redatto da Gentile durante il Convegno delle istituzioni culturali fasciste (Bologna, 29-30 marzo), indetto per dimostrare all’Italia e al mondo che i migliori studiosi e artisti erano pronti ad aderire al nuovo regime e a dare al Paese una nuova cultura; il documento fu pubblicato il 21 aprile da vari giornali. Da allora la divisione fra sostenitori e oppositori del fascismo non poté essere più chiara: non solo perché il 1° maggio gli intellettuali antifascisti, guidati da Benedetto Croce, risposero con un contromanifesto, pubblicato sul quotidiano Il mondo; ma anche perché nel novembre del 1926 il governo deliberò la soppressione dei giornali antifascisti, lo scioglimento di tutti i partiti e le associazioni contrarie al regime, la revoca dei passaporti, l’istituzione del confino di polizia per gli elementi sospetti, la presentazione di un disegno di legge che ripristinava la pena di morte e l’istituzione di un tribunale speciale per gli avversari politici.

Dal 1926 Spirito collaborò con l’Istituto della Enciclopedia Italiana come redattore per le discipline filosofiche, giuridiche ed economiche. Insieme ad Arnaldo Volpicelli, nel 1927 fondò e diresse una nuova rivista, Nuovi studi di diritto, economia e politica con l’obiettivo di diffondere i principi della filosofia di Gentile nelle scienze sociali, che non avevano ancora fatto proprie le conquiste dell’idealismo.

Ritenendo che l’attualismo di Gentile rappresentasse l’espressione più importante della filosofia moderna – come scrisse nel libro L’idealismo italiano e i suoi critici (1930) – Spirito si distinse per essere uno più fedeli collaboratori del filosofo, impegnandosi costantemente nelle battaglie culturali da questi condotte.

Nel 1929 partecipò al VII Congresso nazionale di filosofia (Roma, 26-29 maggio) dove, pochi mesi dopo la firma dei Patti lateranensi, si consumò un duro scontro fra gli idealisti e gli esponenti dell’Università cattolica del Sacro cuore di Milano (v. Atti del VII Congresso nazionale di filosofia, Milano 1929, pp. 17-26, 313-316, 384-387). In quella sede Spirito presentò una relazione (Scienza e filosofia, in Atti…, cit., pp. 286-300, poi in Giornale critico della filosofia italiana, 1929, 10, 3-5, pp. 430-444) in cui negava qualsiasi differenza fra concezioni astratte e questioni concrete, immaginando che la filosofia trovasse la propria concretezza nelle scienze sociali per occuparsi e risolvere i problemi posti dal proprio tempo. Di fatto questa concezione conteneva in sé il superamento di un sapere filosofico come teoria, o come riflessione che perviene a verità definitive, per approdare a un nuovo modo di intendere la conoscenza. Spirito cominciava così di fatto a prendere le distanze da Gentile. Quattro anni dopo fu ancora più esplicito, e in un breve saggio (Attualismo costruttore, in Giornale critico della filosofia italiana, 1933, 14, 1, pp. 24-29, poi raccolto nello stesso anno nell’antologia di suoi scritti Scienza e filosofia, pp. 5-16) dichiarò di aver trovato «la vera filosofia nella politica, nella pedagogia, nel diritto, nell’economia, nell’arte, dovunque la vita chiamasse con l’urgenza di uscire da vecchi schemi e da metodi infecondi» (p. 12). Da quel momento inaugurò un nuovo percorso politico e filosofico: da una parte divenne il principale teorico del corporativismo fascista – su questo tema aveva già pubblicato tre raccolte di saggi, La critica dell’economia liberale (1930), I fondamenti dell’economia corporativa (1932) e Capitalismo e corporativismo (1933), da lui successivamente accorpati, insieme ad altri scritti, nel volume Il corporativismo (1970, rist. 2009) – e dall’altra fu l’autore di una riflessione filosofica che definì problematicismo. Così, a partire dall’inizio degli anni Trenta, il corporativismo da un lato e il problematicismo dall’altro rappresentarono la nuova fase del suo percorso biografico e intellettuale.

Durante il II Congresso di studi sindacali e corporativi (Ferrara, 5-8 maggio 1932), con la relazione Individuo e Stato nell’economia corporativa (ora in Il corporativismo, cit., pp. 519-532), Spirito espose la teoria della corporazione proprietaria, criticando la concezione tradizionale della proprietà privata e il sindacalismo, che a suo avviso costituiva un’espressione del capitalismo. In quella sede, egli sostenne la possibilità di trasformare le imprese private in enti di proprietà degli azionisti, lavoratori e datori di lavoro, e di attribuire i mezzi di produzione alla corporazione. In questo quadro, totalitario, statalista e fascista, la corporazione si configurava come un organo dello Stato.

L’intervento suscitò polemiche da parte di quanti consideravano l’ex allievo di Gentile una sorta di ‘comunista in camicia nera’. In realtà, Spirito non era affatto comunista, e anzi aveva discusso con Mussolini – il 25 marzo 1932, in un’udienza privata – il contenuto della relazione che intendeva presentare a Ferrara, e più in generale le sue idee; questi lo aveva rassicurato sulla ‘ortodossia’ fascista delle sue posizioni. Nei mesi successivi al Congresso di Ferrara, tuttavia, le critiche dei fascisti più intransigenti non vennero meno, tanto che, per metterle a tacere, Giuseppe Bottai, ex ministro delle Corporazioni e allora direttore della Scuola di studi corporativi dell’Università di Pisa, dove Spirito insegnava economia politica dall’inizio del 1932, gli chiese di lasciare momentaneamente la cattedra di economia corporativa. L’anno successivo, il 13 maggio 1933, Mussolini ricevette di nuovo Spirito, e tornò poi a difenderlo pubblicamente il 3 ottobre, sulle colonne del Popolo d’Italia. Dunque, nei primi anni Trenta Spirito era sì un personaggio discusso fra gli intellettuali e gli esponenti del regime, ma poteva contare sulla stima e sul sostegno di Mussolini e sull’appoggio di un politico importante come Bottai.

Nella sua autobiografia, Memorie di un incosciente (1977), Spirito avrebbe raccontato, come sopra accennato, di essere divenuto oggetto di attacchi molto pesanti dopo il Congresso di Ferrara, nonostante gli interventi di Mussolini (p. 183), e che per questo era stato costretto a trasferirsi all’Università di Messina e a dimettersi dalla Scuola di studi corporativi diretta da Bottai. In realtà, la sua carriera accademica, e del resto anche quella nel regime, non incontrarono mai grandi ostacoli: nel 1935 il ministro dell’Educazione nazionale, Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon, lo invitò a lasciare la scuola pisana di studi corporativi e a trasferirsi a Messina, dove nel dicembre del 1933 Spirito aveva vinto la cattedra di filosofia e storia della filosofia nell’Istituto superiore di magistero. De Vecchi era uno dei più duri nemici di Gentile, ed è probabile che Spirito avesse ragione nell’individuare una sua ostilità nei propri confronti; d’altra parte, nell’obbligarlo a trasferirsi e a prendere servizio a Messina, il ministro non fece che applicare la legge (Tarquini, 2009, p. 285). Più in generale, dalle carte di archivio non emerge alcun particolare accanimento dei fascisti nei confronti di Spirito: egli venne controllato perché era considerato un eterodosso e un gentiliano in rotta con il maestro, ma non suscitò all’epoca più attenzioni di quelle rivolte ad altri intellettuali (Archivio centrale dello Stato, Ministero degli InterniDirezione generale di pubblica sicurezza, fascicoli personali, Ugo Spirito, b. 1299).

Nel 1935, ad esempio, fu chiamato come giudice del concorso per la II edizione dei Littoriali della cultura e dell’arte (Roma, aprile), e nello stesso anno partecipò al convegno italo-francese di studi corporativi organizzato dall’Istituto nazionale fascista di cultura, diretto da Gentile. Nell’ottobre del 1936 fu invitato a svolgere una conferenza nell’istituto fascista di cultura di Bologna sul problema dello Stato corporativo, nel gennaio del 1937 parlò all’Istituto di Parma e in quello di Catanzaro, e nel gennaio del 1938 in quello di Pisa (Dessì, 1999, p. 88). Non fu, certo, quindi, un isolato o un dissidente costretto a ritirarsi a vita privata, come scrisse nelle sue Memorie, in cui affermò che dagli anni Trenta iniziò ad allontanarsi dal fascismo e a maturare una riflessione filosofica diversa da quella di Gentile. In effetti, è vero che Spirito si allontanò da Gentile proprio nel periodo in cui ricevette le critiche più severe da parte dei fascisti intransigenti ma, come vedremo, la ragione della sua scelta è opposta a quella da lui indicata.

L’opera La vita come ricerca, pubblicata nel 1937 (quando Spirito si trasferì a Genova come docente di filosofia teoretica), rappresenta il suo sforzo speculativo più importante; il libro comincia con la seguente frase: «pensare significa obiettare». Nel continuo tentativo di superare le obiezioni del pensiero, e quindi nella ricerca di un approdo definitivo mai raggiunto, Spirito definì la filosofia nei termini di un’antinomia radicale, che da un lato consente la più grande e potente delle libertà e dall’altro provoca il dolore «di una schiavitù anch’essa non mai tanto profonda e completa», e cioè l’impossibilità di fermarsi (p. 56). Ripercorrendo il proprio percorso speculativo, egli spiegò che aveva aderito all’attualismo di Gentile perché vi aveva riconosciuto la libertà dell’autocoscienza emancipata «dall’oggettività opaca dell’ignoto e del mistero» (p. 81) e, soprattutto, la volontà di superare la distinzione fra pensiero e azione. Gli era sembrato che la filosofia di Gentile riuscisse a esprimere un autentico sforzo creativo, aperto verso la vita. In realtà, si era reso conto che, a partire dalla fine degli anni Venti, l’idealismo aveva perso il contatto con la società e con la politica, era «rimasto chiuso di fronte a problemi e a manifestazioni di indiscutibile valore», non aveva capito l’importanza della scienza e non aveva avuto «occhi per tutte quelle espressioni spirituali che ripugnano al rigoroso criterio di una filosofia sistematica» (p. 91). In sostanza la riflessione di Gentile, secondo Spirito, si era ridotta a una formula dogmatica, incapace di accogliere la pluralità e la problematicità del reale. Di fronte a questo vero e proprio fallimento, Spirito esprimeva l’esigenza di una filosofia pensata come problema e non come metafisica, una filosofia che assumesse l’antinomia come suo tratto strutturale e al contempo riconoscesse la necessità di cercare l’incontrovertibile e quindi di non abbandonare il «mito» della verità: «allo stato attuale delle cose dobbiamo riconoscere di non avere la capacità di uscire dal mito e di acconciarci a quello della ricerca come al meno dogmatico di tutti» (p. 93).

Il libro suscitò un ampio dibattito, anche perché per la prima volta, in modo sistematico, un allievo di Gentile non solo prendeva le distanze dal maestro, ma addirittura elaborava un’alternativa. Non stupisce, quindi, che Gentile, recensendo nel 1938 La vita come ricerca, lo definisse un libro sbagliato (Nota della direzione, in Giornale critico della filosofia italiana, s. 2, 1937, vol. 5, p. 356). Il fondatore dell’attualismo accusò il suo allievo di assumere una posizione dogmatica che affermava il carattere necessario e assoluto della ricerca e dichiarava l’impossibilità di superare il mistero. In sostanza, secondo Gentile, Spirito sosteneva, senza motivarne le ragioni, la contraddizione per cui non possiamo non ricercare un senso alla nostra esistenza, constatando al contempo che ci sfugge.

Come si accennava, La vita come ricerca fu il primo libro di un gentiliano che prendeva le distanze da Gentile (fu tra l’altro il primo di una trilogia che nel 1941 avrebbe visto la pubblicazione di La vita come arte e nel 1953 di La vita come amore). Un libro nato all’interno della scuola di Gentile, da uno dei suoi allievi più fedeli, protagonista di quella che Michele Federico Sciacca (1954, pp. 43 s.) definì la sinistra gentiliana, laica e problematicista, per distinguerla dalla destra gentiliana, spiritualista e cattolica, rappresentata, ad esempio, da Armando Carlini. Al di là della possibilità di immaginare una destra e una sinistra all’interno di una filosofia come l’attualismo, che difficilmente si presta ad articolazioni di questo tipo, la distinzione derivò da due fattori: da un lato echeggiava la presenza di una destra e di una sinistra hegeliana, e dall’altro nasceva dalla volontà dei protagonisti di differenziare le loro scelte politiche dopo la caduta del fascismo.

Nel dopoguerra Spirito avrebbe descritto la sua vicenda politica e intellettuale nei termini di un rigoroso rapporto di causa ed effetto: secondo lui, così come nel 1922 aveva aderito al fascismo per seguire Gentile, nella seconda metà degli anni Trenta, allontanandosi dal maestro sul piano filosofico, aveva elaborato nuove considerazioni sul regime fascista, divenendo un isolato. In realtà, è vero il contrario. La critica di Spirito a Gentile di quel periodo nacque dalla volontà di realizzare un progetto più radicale di quello che aveva sostenuto negli anni precedenti. Spirito credeva che la Carta del lavoro del 1927 e il corporativismo del 1932 avessero influenzato il dibattito culturale degli altri Paesi europei, e in primo luogo del nazionalsocialismo. Da allora, a suo parere, la cultura italiana aveva espresso critiche rigorose contro l’idealismo, e il pensiero di Gentile si era così estraniato dal processo rivoluzionario. Convinto sostenitore dell’alleanza fra l’Italia di Mussolini e la Germania di Adolf Hitler, Spirito era persuaso che alla fine della Seconda guerra mondiale avrebbe «vinto la pace» chi avesse saputo «fare la rivoluzione», e si augurava che l’asse fra l’Italia e la Germania avrebbe dato vita a «un’alleanza fedele». Queste considerazioni presero forma nel libro Guerra rivoluzionaria che Spirito scrisse nel 1941 (e che fu pubblicato postumo nel 1989) e nel suo intervento al convegno organizzato dall’Istituto nazionale di cultura fascista nel 1942 (Roma, novembre) sul tema Idea di Europa (in Il primo convegno dei gruppi scientifici dell’Istituto nazionale di cultura fascista sull’Idea di Europa (23-24 novembre 1942), a cura di G. Longo, in Annali della Fondazione Ugo Spirito, 1994, n. 6, pp. 182-186) dove non mise mai in discussione la natura rivoluzionaria della guerra e la bontà dell’alleanza italo-tedesca. Dunque, fino al 1943 Spirito dichiarò pubblicamente il suo sostegno alla causa della guerra: come molti, egli era un fascista amico della Germania nazista e un sostenitore del carattere rivoluzionario dei due Paesi.

Nel luglio del 1944, dopo la liberazione di Roma, iniziò un procedimento di epurazione a carico di Spirito, che venne sospeso dall’insegnamento con l’accusa di apologia del fascismo. Il filosofo presentò ricorso, sostenendo da un lato la necessità di distinguere l’apologia compiuta per opportunismo, dalle forme di sincera e manifesta convinzione; dall’altro sottolineando che il fascismo a cui aveva aderito era diverso da quello ufficiale, da quello ad esempio del suo maestro Gentile, che nell’aprile del 1944 era stato ucciso dai partigiani. Nel dicembre del 1944 la Commissione per l’epurazione del personale universitario prosciolse Spirito, sostenendo che le sue attività durante il ventennio si erano limitate «ad una costruzione dottrinaria» (Fioravanti, 2013, p. 1908). Così, nonostante il ricorso dell’alto commissario aggiunto per l’epurazione Mauro Scoccimarro, Spirito venne riammesso in servizio. Da allora tornò a insegnare presso l’Università di Roma e assunse la direzione del Giornale critico della filosofia italiana. Dal 1951 fu chiamato alla cattedra di filosofia teoretica.

In realtà, negli anni del dopoguerra Spirito non si limitò all’attività accademica e, com’era accaduto durante il fascismo, tornò a essere un intellettuale pubblico, collaborò con vari giornali occupandosi di politica e di cultura, pur non tralasciando mai la sua principale attività di docente universitario e studioso di filosofia. Per questo continuò a lavorare sul rapporto fra scienza e filosofia e sulla critica contro l’individualismo e la democrazia.

Affascinato dallo spettacolo di un «miliardo di uomini che hanno creduto alla nascita della verità» (Memorie di un incosciente, cit., p. 68), dopo aver visitato l’Unione Sovietica e la Cina, Spirito nel 1962 pubblicò Comunismo cinese e comunismo russo. E in effetti il tema della sua ricerca non cambiò. Dello stesso comunismo cinese l’aspetto che più lo interessò, ancora alla metà degli anni Settanta, non riguardò il tema della vita del miliardo di cinesi ma l’irrigidirsi della rivoluzione, il suo tradire se stessa. Da questo punto di vista la coerenza di Spirito non venne meno: egli fu e restò un intellettuale totalitario, antidemocratico e antiliberale, nemico severo dell’individualismo e di una visione della politica e della democrazia decisamente lontana e diversa da quella delle democrazie occidentali.

Nel 1966, con il volume Dal mito alla scienza Spirito tornò a studiare il problematicismo; nel 1971 con Augusto Del Noce scrisse Tramonto o eclissi dei valori tradizionali, e sempre nel 1971 Storia della mia ricerca, nel quale tornò su un tema per lui particolarmente importante: quello del rapporto fra la filosofia e la scienza. Negli stessi anni riprese gli studi corporativi e, come presidente della Fondazione Giovanni Gentile, nel 1975 organizzò, con l’Istituto della Enciclopedia Italiana e la Scuola normale superiore di Pisa, il primo convegno internazionale sul filosofo, Il pensiero di Giovanni Gentile. L’anno dopo pubblicò Dall’attualismo al problematicismo, che, con il già citato Memorie di un incosciente, costituì il bilancio scientifico della sua vita di ricerca.

Nel 1977 sposò Gianna Saba. Morì a Roma il 28 aprile 1979.

Nel 1981 è stata costituita la Fondazione Ugo Spirito, intorno alla biblioteca e all’archivio del filosofo.

Fonti e Bibl.: Archivio centrale dello Stato, Ministero degli InterniDirezione generale di pubblica sicurezza, fascicoli personali, Ugo Spirito, b. 1299.

La bibliografia completa delle opere di Spirito si trova in L’opera di U. S.: bibliografia, a cura di F. Tamassia, Roma 1986. M.F. Sciacca, La filosofia oggi, II, Milano 1954, pp. 43 s., 48-54; A. Negri, Dal corporativismo comunista all’umanesimo scientifico: itinerario teoretico di U. S., Manduria 1964; A. Asor Rosa, Una polemica corporativa, in Storia d’Italia, I-II, Torino 1975, pp. 1488-1499; L. Punzo, La soluzione corporativa dell’attualismo di U. S., Napoli 1984; Il pensiero di U. S.Atti del Convegno internazionale… 1987, IV, Dall’unità a oggi, 2, e un fascicolo Appendici-Indici, Roma 1988-1990; G. Parlato, Il carteggio Bottai-Spirito, 1924-1932, in Annali della Fondazione U. S., VI (1994), pp. 103-126; G. Dessì, U. S.: filosofia e rivoluzione, Milano-Trento 1999; H.A. Cavallera, U. S. e la ricerca dell’incontrovertibile, Formello 2000; G. Parlato, U. S., in Dizionario del fascismo, a cura di V. de Grazia – S Luzzatto, II, L-Z, Torino 2003, p. 660; M. Fioravanti, Il fascismo dei corporativisti: U. S., in Giornale di storia contemporanea, IX (2006), 1, pp. 57-79; A. Tarquini, Il Gentile dei fascisti: gentiliani e antigentiliani nel regime fascista, Bologna 2009, pp. 80, 279-290; D. Breschi, Spirito del Novecento: il secolo di U. S. , dal fascismo alla contestazione, Soveria Mannelli 2010; M. Fioravanti, U. S., in Dizionario biografico dei giuristi italiani, XII-XX secolo, a cura di I. Birocchi, et al., II, Bologna 2013, pp. 1907 s.

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La Fondazione

La Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice (in origine Fondazione Ugo Spirito) è stata costituita a Roma nel 1981 grazie alla donazione dell’Archivio e della Biblioteca appartenenti al filosofo da parte della signora Gianna Saba, vedova  Spirito.
Nel 1994, con DM 5 febbraio, la Fondazione ha ottenuto il riconoscimento giuridico.

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