Presentato in Fondazione il volume “La sinistra italiana e gli ebrei”, di Alessandra Tarquini

Mercoledì 13 Ottobre 2021 è stato presentato, in presenza e in modalità streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube della Fondazione, il volume La sinistra italiana e gli ebrei. Socialismo, sionismo e antisemitismo dal 1892 al 1992 di Alessandra Tarquini (il Mulino, Bologna 2020). Con l’autrice ne hanno discusso Carmine Pinto, professore ordinario di Storia contemporanea nella Università degli Studi di Salerno, e Giuseppe Parlato, professore ordinario di Storia contemporanea nella Università degli Studi Internazionali – UNINT di Roma e presidente della Fondazione.

In ottemperanza alle normative in vigore, ricordiamo che per partecipare in sala sarà obbligatorio esibire la certificazione verde per il Covid-19 (green pass). L’accesso sarà consentito solo su prenotazione e fino al raggiungimento della capienza massima prevista per le norme sul distanziamento interpersonale (info e prenotazioni: info@fondazionespirito.it).Il libro

Questo libro ricostruisce i rapporti fra la sinistra italiana e gli ebrei, dal 1892, quando nacque il Partito socialista, alla crisi della cosiddetta prima Repubblica. I protagonisti sono le donne e gli uomini che, in nome del socialismo di matrice marxista, aderirono ad alcune delle più importanti organizzazioni di massa del Novecento. E gli interrogativi a cui l’autrice cerca di rispondere sono i seguenti: chi sono stati e chi sono gli ebrei per i socialisti? Sono oppressi, e quindi insieme a tutti gli sfruttati del mondo partecipano alla lotta per l’avvento di una nuova civiltà, oppure ostacolano la realizzazione del socialismo? Accanto alla storia dei partiti, nella trattazione hanno ampio spazio gli intellettuali che vissero a stretto contatto con la politica. Da questo punto di vista, la rappresentazione dell’antisemitismo, del sionismo e del conflitto arabo-israeliano, negli scritti degli storici, dei filosofi e dei sociologi, ma anche nel cinema, nei romanzi e nella produzione della cultura di massa, aiuta ad approfondire la ragione delle scelte politiche. Nell’arco di un secolo, a delinearsi è una storia di relativa sottovalutazione della questione ebraica.

L’autrice

Alessandra Tarquini è professore associato di Storia contemporanea alla Sapienza Università di Roma. Tra le sue pubblicazioni: Il Gentile dei fascisti. Gentiliani e antigentiliani nel regime fascista (il Mulino, 2009), Storia della cultura fascista (il Mulino, 20162), tradotto recentemente in inglese (History of Italian fascist culture, Madison Wisconsin University Press, 2021), e la curatela del Carteggio Croce-Tilgher (il Mulino, 2004).

 

Disponibile, al seguente link, la registrazione integrale: https://youtu.be/shawICjb1-Q

Gli intellettuali italiani e l’antisemitismo

La prima edizione
De Silva, 1947

di Gianni Scipione Rossi

La percezione riluttante
Se volessimo dare una definizione sintetica degli intellettuali italiani di fronte all’antisemitismo e alle leggi razziali basterebbe catalogarli con tre parole: gli antisemiti, gli opportunisti, gli indifferenti. Naturalmente la questione è molto più complessa, forse anche più complessa di quella, connessa ma non sovrapponibile, dell’atteggiamento degli intellettuali italiani nei confronti del regime fascista, sulla quale tanto si è scritto. A sua volta, anche tale questione si intreccia con il tema più generale degli italiani di fronte al fascismo e alle leggi razziali.
È nota l’analisi di Renzo De Felice sulla percezione della svolta razzista del regime fascista. Una svolta che – rileva il biografo di Mussolini – fu «accolta dalla gran maggioranza degli italiani e degli stessi fascisti con perplessita’ e molto spesso con ostilità». E che tuttavia non determinò un generale o almeno percepibile distacco dal fascismo. «Per quanto grave, la lacerazione prodotta dalla legislazione antisemita – sottolinea lo storico reatino – fu, tutto sommato, dal punto di vista del “consenso”, meno decisiva di quanto talvolta viene affermato». Di «quelle leggi – concorda Tullia Zevi – la popolazione in un primo tempo non percepì la gravità».  Per il secondo tempo si dovrà attendere ben oltre la fine della guerra.
Sarebbe improprio affermare che la consapevolezza della Shoah si diffonda con le prime immagini dei campi di sterminio nazisti proiettate dall’americano Psychological Warfare Branch nei cinematografi romani nel 1945. Ancor più improprio sarebbe sostenere che quelle immagini abbiano determinato negli italiani una consapevolezza diffusa delle conseguenze ultime delle leggi antiebraiche del 1938. Né incise, nel 1947, la prima edizione di Se questo è un uomo di Primo Levi, rifiutata da Einaudi su suggerimento di Natalia Ginzburg e Cesare Pavese, e pubblicata quasi clandestina da un piccolo editore di Vercelli.

[…]

Lo scivoloso crinale tra pregiudizio diffuso e antisemitismo reale
Se fosse disponibile un algoritmo capace di scandagliare l’intera letteratu- ra italiana della prima metà del Novecento, ma anche memorie, diari e carteggi inediti, l’elenco delle affermazioni imputabili o sospettabili di tradire un pregiudizio antisemita sarebbe probabilmente interminabile. Esiguo, al contrario, sarebbe quello delle affermazioni volte a contrastare l’antisemitismo, sia culturale sia politico. Avrebbe una utilità questa classificazione? Sì, se utilizzata per comprendere appieno un clima. Molto meno se si trasforma in un processo alle intenzioni, come se ogni affermazione possa ritenersi prodromica delle leggi antiebraiche o – addirittura – della Shoah, inevitabile e consapevole terreno di coltura della persecuzione. Potrebbe naturalmente spiegare l’indifferenza diffusa, che negli intellettuali talvolta si trasforma in attiva e opportunistica partecipazione alla campagna razzista di fine anni Trenta. È comunque opportuno tenere a mente l’ammonimento di Delio Cantimori ricordato da Alberto Cavaglion: «l’uso del vocabolo “razza” è stato anacronisticamente utilizzato come prova schiacciante per retrodatare, oltre ogni limite di serietà scientifica, il presunto razzismo strutturale dell’italiano medio».  All’epoca, va chiarito, il termine razza veniva utilizzato come sinonimo di popolo, il che vale anche per il giovane socialista Mussolini.

Procediamo comunque con qualche esempio. È noto che Gaetano Salvemini l’8 dicembre 1922 appunta nel suo diario: «Mayer è triestino ed ebreo: credergli sarebbe ingenuità». È lecito “impiccare” Salvemini a questa e ad altre battute? E sottolineare come ancora nel 1934 stentasse, da combattivo antifascista all’estero, a identificare Mussolini con Hitler in materia di antisemitismo? «Mussolini – scrisse – non ha mai scatenato in Italia un’ondata di antisemitismo paragonabile a quella cui stiamo assistendo oggi in Germania. […] L’equivalente italiano dell’antisemitismo tedesco è la persecuzione della massoneria».
«Triestino era sempre per lui sinonimo di ebreo», nota Giulio Cattaneo a proposito di Carlo Emilio

Carlo Emilio Gadda

Gadda, affrettandosi a precisare: «Gadda non era antisemita». Vero? Falso? Parliamo del Gadda della feroce invettiva post-bellica contro un Mussolini, che nella vulgata lo fa annoverare tra le «firme sideralmente lontane dal regime». Un Mussolini sbeffeggiato come «Priapo Ottimo Massimo» e «Maccherone Maramaldo» in un florilegio che non contempla – per dire – un “Maramaldo Antigiudeo”.
Sono ben note le pagine scritte dall’ingegnere nel Racconto italiano di ignoto del novecento, nelle quali gli ebrei – che «mi sono poco simpatici» – «ad un tempo sono banchieri, democratici, framassoni e filantropi, soprattutto israeliti. Banchieri per istinto, filantropi per convenienza (nel senso largo e buono della parola), democratici per necessità».
È invece forse sfuggito ai più questo passaggio di Gadda, che il 25 novembre 1915 annota nel suo diario: «Alla mensa conobbi […] l’antipaticissimo, pretensioso, presuntuoso cap. Niccolosi, ebreo. È strana l’intuizione che ho degli ebrei: li conosco di colpo, al solo guardarli, prima ancora di avvicinarli: non ho nessuna speciale avversione per loro, ma questo Niccolosi deve essere un cane». Più o meno come il commissario di polizia che a Fontanay-le-Comte, nella Francia occupata, indaga sul belga Georges Simenon e sospetta: «– Lei è ebreo!» […] «Non mi sbaglio mai, io. L’ebreo lo sento al fiuto…».
Gadda – iscritto al Pnf dal 1921 – era dunque antisemita? Certo è che il Giornale di guerra viene pubblicato solo nel 1955, peraltro dopo un attento lavoro di revisione, al fine di evitare citazioni di persone che potrebbero restarne offese. Se ne può dedurre che Gadda, a dieci anni dalla fine della seconda guerra mondiale, non ritiene di dover espungere quella frase nota solo a lui. Probabilmente la considera una battuta innocua mentre – come si è detto – la percezione di quanto era accaduto faticava a affermarsi anche nel ceto intellettuale.

[…]

Il testo completo del saggio in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. XXX, 2018, pp. 55-76.

Italia e Israele, storia di un rapporto complesso

Mario Toscano (a cura di), L’Italia racconta Israele 1948-2018, Viella, Roma 2018

È ben condivisibile l’auspicio del curatore Mario Toscano <che questo volume possa essere la base per ulteriori ricerche, volte ad ampliare la conoscenza di un capitolo della storia italiana recente e dei dibattiti appassionati svoltisi su un tema delicato> (p. 13). Perché un tema così delicato, e cioè come la politica, la stampa, la cultura italiana si siano rapportate alla nascita dello Stato d’Israele e alla sua storia ormai settantennale, merita più di una sia pur pregevole raccolta di saggi fatalmente orfani di un approccio organico. Il tema è infatti quanto mai complesso, alla luce dell’atteggiamento ondivago che politica, stampa e cultura hanno tenuto, nel loro complesso e spesso in palese e vivace dissenso, nei confronti della patria ebraica. Un atteggiamento che è via via cambiato col mutare del contesto internazionale e dell’orientamento politico delle leadership israeliane, per non dire della percezione della Shoah e delle leggi antiebraiche del 1938. Così, quando Israele nasce e sembra porsi in stretta relazione con il blocco sovietico, le sinistre italiane lo vedono con estremo favore, mentre Dc e moderati sono condizionati dall’atlantismo. Poi, di lustro in lustro, gli accadimenti determinano evoluzioni diverse, ferma restando la persistente linea filoaraba (con le eccezioni del caso) della politica estera italiana, almeno fino agli anni Ottanta del secolo scorso. Gli autori colgono e spiegano i mutamenti intorno alle date topiche, dal 1951 al 1967 (quando il Pci si schiera contro Israele), e poi al 1982, con l’invasione del Libano disposta dal premier del Likud Menachem Begin. Una svolta, questa, che determina conseguenze ancora non rimosse in una pubblicistica che tende a considerarla come conseguenza naturale della guerra dei sei giorni. Mentre viene rimosso, come nota Alberto Cavaglion, <Quello che è accaduto fra il 1948 e il 1967 [], nel quadro di un’analisi che estende la “brutalità” della politica israeliana a tutto il periodo precedente> (p. 197). Con gli inevitabili limiti d’insieme, il volume presenta saggi accurati che ben illustrano le posizioni dei diversi schieramenti politici e ambienti culturali italiani, con una eccezione difficilmente comprensibile, che riguarda il versante della destra. Guri Schwarz lamenta l’assenza di <studi approfonditi e seri> (p. 155n)) sull’evoluzione del postfascismo finiano su questi temi. C’è del vero, ma nel volume manca qualsivoglia riferimento anche alle posizioni della destra precedente al biennio 1993/1994, forse perché ritenuta politicamente ininfluente, il che – per alcuni periodi – non corrisponde storiograficamente al vero.

Un lavoro più organico non potrebbe che tener conto non solo del citato La destra e gli ebrei di Gianni Scipione Rossi (Rubbettino, Soveria Mannelli 2003), ma almeno della ricerca condotta da Marco Francesconi sui periodici conservati nella emeroteca della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice (Il Movimento Sociale Italiano e il conflitto arabo-israeliano 1946-1973, Europa Edizioni, Roma 2017), e del saggio di Giuseppe Parlato, Neofascismo Italiano e questione razziale, in G. Resta, V. Zeno-Zencovich (a cura di), Leggi razziali. Passato e presente, RomaTre-Press, Roma 2015.

da “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, n.1, 2019 (nuova serie), a. XXXI