Bettino Craxi, una interpretazione storiografica: convegno in Fondazione

IL CONVEGNO È STATO RINVIATO IN OTTEMPERANZA AL DECRETO SUL CORONAVIRUS

 

Nel ventesimo anniversario della scomparsa del leader del Partito Socialista Italiano e presidente del Consiglio, protagonista di una lunga stagione della Repubblica, densa di cambiamenti e svolte che hanno interessato non solo le scelte politiche, ma anche le analisi e i riferimenti culturali di larga parte della sinistra italiana, la Fondazione organizza un incontro di approfondimento e riflessione con il titolo Bettino Craxi: una interpretazione storiografica. Dal Midas alla crisi della “prima Repubblica”.
Con la formula del convegno-tavola rotonda, sono chiamati a confrontarsi intellettuali del più diverso orientamento con l’obiettivo di individuare una possibile linea interpretativa del periodo storico che ha visto svilupparsi l’attività di Bettino Craxi, prima all’interno del Psi, poi in relazione con le altre forze politiche e infine nella sua attività di governo.
L’incontro si terrà in due sessioni nella sala della Fondazione (piazza delle Muse 25, Roma) mercoledì 25 marzo 2020, a partire dalle ore 15.30.
Nella prima sessione, moderata dal vicepresidente della Fondazione Gianni Scipione Rossi, intervengono Dino Cofrancesco sul tema La “rivoluzione culturale” del socialismo craxiano, Roberto Chiarini sul tema Il decisionismo al governo, Marco Follini sul tema La Democrazia Cristiana di fronte alle svolte socialiste.
Nella seconda sessione, moderata da consigliere di amministrazione della Fondazione Nicola Rao, intervengono Miguel Gotor sul tema Il Partito Comunista e la competizione a sinistra, Paolo Armaroli sul tema Craxi, la destra e la repubblica presidenziale ed Andrea Spiri sul tema L’ultima stagione, una leadership dal declino ad Hammamet. Presiede il presidente della Fondazione Giuseppe Parlato.

Piazza Fontana 1969-2019: la strage che cambiò l’Italia

La data del 12 dicembre 1969, quando esplode a Milano la filiale della Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana, segna uno spartiacque politico e sociale per l’Italia. Si apre una crisi segnata da un persistente terrorismo diffuso di matrice sia di estrema sinistra sia di estrema destra. A cinquant’anni di distanza la Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice organizza un convegno di studi per approfondire il significato di una data che ha cambiato la storia d’Italia, con un aggiornamento sugli studi relativi alla strage e una riflessione sulle conseguenze che essa ha determinato.
L’incontro si terrà nella sala della Fondazione (Piazza delle Muse, 25 – Roma) mercoledì 27 novembre 2019, con inizio alle ore 16.

Il convegno si svolge con il patrocinio dell’Assessorato alla Crescita culturale di Roma Capitale.
Il presidente della Fondazione Giuseppe Parlato, ordinario di Storia contemporanea nella Unint di Roma presiederà i lavori. Intervengono il giornalista e saggista Paolo Morando, autore di Prima di Piazza Fontana. La prova generale (Laterza, Roma-Bari 2019), lo storico Gianni Oliva, autore di Anni di piombo e di tritolo. 1969-1980. Il terrorismo nero e il terrorismo rosso da piazza Fontana alla strage di Bologna (Mondadori, Milano 2019), il giornalista e saggista Nicola Rao, consigliere di amministrazione della Fondazione e autore della Trilogia della celtica. La vera storia del neofascismo italiano. La fiamma e la celtica. Il sangue e la celtica. Il piombo e la celtica (Sperling & Kupfer, Milano 2014), lo storico Vladimiro Satta, autore del libro I nemici della Repubblica. Storia degli anni di piombo (Rizzoli, Milano 2016), e Angelo Ventrone, ordinario di Storia contemporanea nell’Università di Macerata, autore di La strategia della paura. Eversione e stragismo nell’Italia del Novecento (Mondadori 2019) e curatore del volume L’Italia delle stragi. Le trame eversive nella ricostruzione dei magistrati protagonisti delle inchieste (1969-1980)(Donzelli, Roma 2019). Modera il vicepresidente della Fondazione Gianni Scipione Rossi.

Il convegno, aperto al pubblico e in particolare agli studenti delle scuole superiori, è realizzato con il contributo della Regione Lazio, Area Servizi Culturali, Promozione della Lettura e Osservatorio della Cultura, L.R. n. 42/1997, artt. 13-16.

20 luglio 1969, l’avventura che ci fece sognare

«Dai miei studi sono convinto che riusciremo in un’impresa impossibile per ogni altra nazione. Questo piano, degno di voi e del Gun Club, non potrà fare a meno di sollevare gran rumore nel mondo.
Molto rumore? Chiese un artigliere appassionato.
Molto rumore nel vero senso della parola. Rispose Barbicane».
Quando il centro Nasa di Houston comunicò al mondo che nell’estate del 1969 due suoi astronauti – Neil Armstrong ed Edwin Aldrin – avrebbero toccato il suolo lunare, a molti nostri connazionali tornarono alla mente le pagine scritte de Jules Verne più di un secolo prima, nel suo libro Dalla terra alla luna (De la Terre à la Lune. Trajet direct en 97 heures 20 minutes, Hetzel, Paris 1865) uno dei must dei giovani e degli adolescenti del Novecento, cresciuti nel mito del progresso e della conquista dell’ignoto.
Mentre sulle nostre spiagge risuonavano le canzoni di due giovani campani, Lisa dagli occhi blu di Mario Tessuto e Rose rosse per te, di un diciottenne dei quartieri spagnoli, Massimo Ranieri, l’emozione e l’attesa crescevano in tutto il Paese.
Quando venne comunicata da oltreoceano la data dello sbarco – 20 luglio – partì la corsa di giornali e tg nel prepararsi all’evento del secolo.
Quotidiani e periodici fecero a gara nel raccontare, nel dettaglio, i retroscena sia dell’ultima missione americana sulla Luna, quella di Apollo 10 (che aveva fotografato e filmato per la prima volta la superficie lunare) sia quella che Apollo 11 si apprestava a compiere.
Le vite dei due uomini incaricati di “passeggiare” sul suolo lunare furono vivisezionate da tutti i media del mondo.
Un mese prima dell’allunaggio, al centro di Houston fu il momento delle prove generali. Avvolti da scafandri praticamente identici a quelli delle illustrazioni dei libri di Verne ed armati di telecamere e sofisticate pale lunari, gli astronauti provarono a muoversi come se fossero già sul nostro satellite.
Prima di partire erano già due star. Il 10 giugno del 1969, l’inviato a Houston della “Domenica del Corriere”, Franco Goy, dopo aver assistito alla simulazione dello sbarco, scriveva così: «Ho visto il primo uomo sbarcare sulla luna. È nato a Wapakoneta, nell’Ohio, 39 anni or sono. Alto un metro e 78 centimetri, biondo con gli occhi azzurri, è ammogliato e ha due figli, Eric di 12 anni e Mark di 6. Appassionato di aeromodellistica fin dall’infanzia, dal 1949 al 1952 ha prestato servizio come pilota della Marina, combattendo in Corea. Si chiama Neil Armstrong. Un nome che ricorderemo».
Sullo stesso numero vennero pubblicate le immagini della Terra e della Luna fotografate dall’Apollo 10, con questa didascalia: «La somma di due prodigi. Un secondo prodigio dopo l’impresa di Apollo 10 s’è avverato: milioni di spettatori dei Paesi con la tv a colori hanno potuto godersi lo spettacolo fantasmagorico delle albe e dei tramonti della Luna e della Terra».
Eh già, perché quel che oggi sembra normale, 50 anni fa restava un sogno. Anche quello della televisione a colori, che era una realtà soltanto per i Paesi anglosassoni.
Intanto, i giorni passavano e la febbre saliva. Fino a quel fatidico 20 luglio 1969. In un fondo non firmato intitolato «Cieli aperti», il Messaggero scriveva: «Questa notte per noi italiani, e di giorno per coloro che abitano agli antipodi, non ci sarà che un solo pensiero e una sola trepidazione. Armstrong e Aldrin tenteranno l’eroica, la prodigiosa impresa».
Ma il meglio di sé lo diede la Rai (in quegli anni davvero la guida culturale e informativa del Paese), che alle 19 e 28 del 20 giugno, dallo studio 3 di via Teulada diede il via alla più lunga ed emozionante maratona televisiva della sua lunga storia, battuta solo undici anni dopo, nel 1981, dalla tragedia di Vermicino. Con la conduzione di Tito Stagno e Andrea Barbato, si andò avanti fino alle 23 del giorno dopo.
Alcuni numeri di quella trasmissione: quasi 28 ore di diretta. 500 ospiti coinvolti tra gli studi di Roma, Milano, Torino e Napoli. 8000 sigarette fumate, accompagnate da 6000 caffè. 250 dipendenti Rai impegnati, tra giornalisti, tecnici, impiegati e operai.
Infine, il numero dei numeri, che testimonia, senza bisogno di altre spiegazioni, come per oltre 24 ore l’intero Paese avesse trattenuto il respiro sovrapponendo la realtà al sogno: tra le 22.15 e le 22.30, i momenti dell’allunaggio, davanti agli schermi in bianco e nero disseminati in tutte le case, i bar e i ristoranti del Paese, si inchiodarono 19 milioni 300 mila persone.
Sembrava l’inizio di una nuova avventura, che avrebbe prima o poi coinvolto tutto il mondo occidentale, Italia compresa. Certo, da noi c’erano stati segnali di forte tensione l’anno prima, con i violenti scontri tra studenti e polizia prima a Roma e poi a Milano. Ma nulla lasciava presagire che questo sogno di avventura, di scoperta, di conquista sarebbe stato distrutto, per molti, troppi anni, da un incubo fatto di violenza, morte e sangue. Meno di 5 mesi dopo, la strage di piazza Fontana.

Nicola Rao

 

Da “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, n. 1, 2019 (nuova serie), a. XXXI