Domenico Fisichella, Il miracolo del Risorgimento. La formazione dell’Italia unita (Carocci, 2010) con Franco Tamassia

Martedì 14 dicembre 2010, nell’ambito degli incontri “Un libro, un autore, tra storia e attualità“, si è tenuta la presentazione del libro di Domenico Fisichella, Il miracolo del Risorgimento. La formazione dell’Italia unita (Carocci, 2010).

L’incontro è stato introdotto da Franco Tamassia che ha sottolineato come il libro segua nel corso dei secoli il lento cammino che ha portato alla formazione di una coscienza nazionale nelle popolazioni che abitano la penisola italica, inquadrando il percorso in una dialettica europea, che ha condotto alla formazione dei rispettivi Stati nazionali.

Prendendo la parola, Fisichella ha ricostruito questo processo, ricordando come dopo la caduta dell’impero romano si sia affermato in Italia un sistema feudale centrato sul ruolo del comune. A differenza di altre realtà, in Italia per molti secoli non vi sono state le condizioni favorevoli ad un processo di aggregazione intorno ad una dinastia capace di creare uno Stato nazionale.

Secondo Fisichella, le motivazioni sono da ricondurre innanzitutto al fatto che le signorie italiane erano controllate da oligarchie mercantili incapaci di trasformarsi in oligarchie politiche e quindi di perseguire un progetto di unificazione della penisola. Il secondo elemento ricordato da Fisichella è rappresentato dalla presenza della Chiesa cattolica, che a causa della sua visione universalistica non aveva interesse all’unificazione dell’Italia.

In questo contesto, la rivoluzione francese rappresentò un elemento di discontinuità nella storia d’Europa esportando anche in Italia la sua idea di nazione. Ma fu solo con la Restaurazione che si affermarono i tre principi che resero possibile la creazione dello Stato italiano: il principio di nazionalità, la riaffermazione del principio di equilibrio tra potenze europee ed il principio di legittimità, che escludeva la possibilità di giungere all’unificazione nazionale attraverso una rivoluzione. Rispettando questi tre principi, il Regno di Sardegna – unica entità statuale italiana non subordinata ad una potenza straniera, fatta eccezione per il Regno pontificio – riuscì ad unificare la penisola.

 

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Giordano Bruno Guerri, Il sangue del Sud. Antistoria del Risorgimento e del brigantaggio 1860-70 (Mondadori 2010) con Giuseppe Parlato

Giovedì 2 dicembre 2010, nell’ambito dei volumi che hanno per oggetto il 150° della creazione dello Stato italiano è stato presentato il libro di Giordano Bruno Guerri, Il sangue del Sud. Antistoria del Risorgimento e del brigantaggio 1860-70, (Mondadori, 2010).

L’incontro è stato introdotto da Giuseppe Parlato che ha evidenziato come la celebrazione della creazione dello Stato italiano dovrebbe rappresentare l’occasione per superare le fratture che hanno segnato la storia del nostro Paese, senza escluderne alcuni protagonisti. Tra questi protagonisti esclusi vi sono i briganti, cui è dedicato il libro di Giordano Bruno Guerri.

L’Autore ha dunque ricordato come il brigantaggio esiste sottoforma di banditismo già dal XVI secolo, ma dopo la creazione dello Stato italiano presenti connotati diversi. Dopo il 1861 le popolazioni dell’Italia meridionale avvertirono infatti l’unificazione con il Regno di Sardegna come un processo di annessione. Le motivazioni furono molteplici. Innanzitutto l’arrivo di Garibaldi fu accompagnato dalla promessa di spezzare il latifondo e dare le terre ai contadini, ma la promessa fu presto disattesa, suscitando il malcontento dei contadini.

Inoltre, l’unificazione con il Regno di Sardegna fu accompagnata da un forte aumento delle tasse e da una leva militare molto dura (sei anni). Per queste ragioni scoppiò quella che Guerri definisce una “guerra civile”, a causa dell’alto numero di morti registrati da entrambe le parti (l’esercito italiano ebbe 8.000 caduti, più di quelli riportati in tutte e tre le guerre di indipendenza, mentre i morti del sud, non calcolabili, potrebbero essere stimati sulle 100.000 unità).

 

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Tomas Carini, Niccolò Giani e la Scuola di Mistica Fascista (Mursia, 2009) con Giuseppe Parlato

Venerdì 26 novembre 2010 è stato presentato il libro di Tomas Carini, Niccolò Giani e la Scuola di Mistica Fascista 1930-1943, (Mursia, 2009).

Nell’introdurre l’incontro, Giuseppe Parlato ha sottolineato due problemi legati alla figura di Giani ed alla mistica che hanno portato la storiografia ad ignorare questo argomento. Il primo è rappresentato dall’ambiguità della scuola di mistica nei confronti della “religionizzazione” del fascismo, dal momento che i suoi componenti si dichiaravano fedeli alla religione cattolica, entrando dunque in conflitto con la visione dello Stato etico gentiliano. Il secondo è legato alla definizione di “razzismo spiritualista”, che è impossibile distinguere dal razzismo biologico nel momento in cui i mistici promuovevano un discorso antisemita.

L’Autore ha poi analizzato il profilo di Giani, ripercorrendone le principali tappe biografiche ed approfondendo la funzione della scuola di mistica fascista, fondata dallo stesso Giani nel 1930 e da lui diretta per gran parte di tutto il decennio seguente. Carini ha dunque spiegato gli insuccessi dei mistici nel tentativo di armonizzare l’elemento cattolico con la costruzione di uno Stato etico fascista e le suggestioni culturali europee recepite e rielaborate dalla loro scuola.

 

 

Raimondo Cubeddu, Tra le righe. Leo Strauss su Cristianesimo e Liberalismo (Marco Editore, 2010) con Danilo Breschi

Giovedì 21 ottobre 2010, nell’ambito degli incontri “Un libro, un autore, tra storia e attualità“, si è tenuta la presentazione del libro di Raimondo Cubeddu, Tra le righe. Leo Strauss su Cristianesimo e Liberalismo (Marco Editore 2010) con Danilo Breschi.

L’incontro è stato introdotto da Danilo Breschi, che ha ricordato come negli ultimi anni la figura di Leo Strauss sia stata oggetto di analisi esclusivamente in riferimento al suo influsso sulla nascita della dottrina neoconservatrice statunitense. Raimondo Cubeddu, che ha dedicato il primo studio a Strauss nel lontano 1983, si sofferma invece sul rapporto tra cristianesimo e liberalismo.

Prendendo la parola, l’Autore ha evidenziato come per Strauss sia scorretto parlare di matrice giudaico-cristiana dell’Occidente, dal momento che l’ebraismo sarebbe più vicino alla religione islamica per il suo rifiuto di ogni commistione con la filosofia. Il tentativo dell’Occidente di coniugare pensiero razionale e religione ha invece caratterizzato la sua modernità, tradottasi nella messa in discussione dei dogmi del cristianesimo, nel relativismo, nell’individualismo, nel nichilismo e nell’Olocausto.

 

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Gianni Scipione Rossi, Storia di Alice. La Giovanna d’Arco di Mussolini (Rubbettino, 2010) con Aldo G.Ricci

Giovedì 17 giugno 2010, nell’ambito degli incontri “Un libro, un autore, tra storia e attualità“, è stato presentato il volume di Gianni Scipione Rossi, Storia di Alice. La Giovanna d’Arco di Mussolini, (Rubbettino, 2010).

Ha introdotto l’incontro Aldo Giovanni Ricci, sottolineando come l’importanza del libro consista nel porre all’attenzione il ruolo che alcune donne hanno avuto nell’elaborazione politica di Mussolini.

Prendendo la parola, Gianni Scipione Rossi ha spiegato che sono due le domande all’origine del volume.
La prima si ricollega alla considerazione effettuata da Ricci e consiste nel tentativo di comprendere se – ed eventualmente come – Alice de Fonseca sia stata in grado di influire sul pensiero di Mussolini.
La seconda questione riguarda il tentativo di capire da chi era veramente costituita l’Italia che sostenne il fascismo.

In questo senso, la figura di Alice e della sua famiglia è estremamente interessante perché non corrispondono allo stereotipo classico dei “fascisti”. L’ambiente culturale da cui proveniva era raffinato e internazionale, dal momento che la famiglia era di origine anglosassone ed Alice effettuò lunghi e frequenti soggiorni a Londra, Parigi e New York. Eppure, affascinata dalla figura di Mussolini, Alice chiese di svolgere l’attività di “ambasciatrice” del fascismo nei principali salotti che ebbe modo di frequentare all’estero.

 

Recensioni

Giuseppe Parlato, La pasionaria del Duce propagandista in Usa
in “Libero”, 6 maggio 2010

Antonio Angeli, Benito, quel rubacuori che sfruttava le donne
in “Il Tempo”, 15 maggio 2010

Davide Eusebi, Alice nel paese del Duce. Un libro svela la storia della Petacci delle Marche
in “Il Resto del Carlino”, 18 maggio 2010

Paolo Boldrini, La pasionaria del duce parte dalle Marche
in “Corriere Adriatico”, 22 maggio 2010

Alice, una storia con Mussolini,
in “Corriere della Sera”, 26 maggio 2010

Leonardo Varasano, Anche Mussolini aveva la sua Giovanna D’Arco…
in “Il Secolo d’Italia”, 6 giugno 2010

Stefano Clerici, La vita della “romantica Alis” ambasciatrice dell’Italia fascista
in “La Repubblica”, 7 giugno 2010

Alessandro Moscè, Alice, il duce e Fabriano: mistero d’amore
in “L’Azione”, 12 giugno 2010

Giorgia Cardinaletti, Alice e il Duce, a casa della pasionaria del regime
in “Il Giornale dell’Umbria”, 22 giugno 2010

Aldo Giovanni Ricci, Alice e il Duce, a casa della pasionaria del regime
in “Liberal”, 24 giugno 2010

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Danilo Breschi, Spirito del Novecento. Il secolo di Ugo Spirito dal fascismo alla contestazione (Rubbettino, 2010) con Dino Cofrancesco, Michela Nacci, Luciano Pellicani e Giuseppe Vacca

Venerdì 28 maggio 2010, la Fondazione Ugo Spirito ha organizzato una tavola rotonda a partire dal volume di Danilo Breschi, Spirito del Novecento. Il secolo di Ugo Spirito dal fascismo alla contestazione (Rubbettino, 2010).

Hanno partecipato Giuseppe Vacca e Luciano Pellicani. Ha introdotto l’incontro Giuseppe Parlato, che ha sottolineato come il libro completi una seconda fase di studi che la Fondazione ha dedicato al pensiero di Ugo Spirito.

Nella prima, grazie soprattutto ai contributi di Armando Rigobello e Vittorio Mathieu, era stata approfondita la dimensione prettamente filosofica dell’opera spiritiana. La seconda fase – nel cui ambito si colloca il volume di Breschi – ha prestato invece maggiore attenzione all’interpretazione politologica che Spirito ha fornito dell’evoluzione dei tempi e della società. Nel suo intervento, Giuseppe Vacca ha evidenziato la “tragicità” della figura di Spirito, determinata da un persistente ancoraggio ai paradigmi ideologici dell’attualismo delle origini che non erano adatti a comprendere il mutare della società di massa e ritardarono nel filosofo la comprensione del nichilismo insito nel movimento del ’68.

Luciano Pellicani ha inquadrato la figura di Spirito all’interno di uno schema tipicamente novecentesco che ha tentato di rispondere alla “morte di Dio” con l’elaborazione di religioni politiche anti-individualistiche ed ostili al capitalismo del mondo borghese.

Nell’intervento finale, Danilo Breschi ha preso spunto dalla figura di Spirito per trattare più in generale il ruolo dell’intellettuale tra il 1789 e il 1989, quando la filosofia si è strettamente collegata alla politica nel tentativo di pensare e trasformare il mondo.

 

Recensioni

Luciano Lanna, Ugo Spirito capì il ’68 quarant’anno prima,
in “Il Secolo d’Italia”, 8 giugno 2010

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Antonio Saccà, Il padre di Dio (Edizione Bietti Media, 2009) con Luciano Lanna

Giovedì 6 maggio 2010, nell’ambito degli incontri “Un libro, un autore, tra storia e attualità“, la Fondazione Spirito ha presentato il volume di Antonio Saccà, Il padre di Dio (Bietti Media, 2009).

L’incontro è stato introdotto dal presidente della Fondazione Spirito, Giuseppe Parlato, che ha spiegato come il filo conduttore delle tre parti del libro sia costituito da un’analisi del rapporto fra male e umanità. Parlato ha inoltre evidenziato i molti elementi in comune con il pensiero di Ugo Spirito, che Saccà ebbe modo di conoscere e frequentare.

L’autore ha dunque approfondito le singole parti del suo lavoro. La prima si interroga su cosa ci sia all’origine di Dio (analisi da cui ha origine il titolo), toccando il tema del rapporto tra l’uomo e le religioni. A tal proposito, Saccà ha riconosciuto l’importanza della dimensione storica delle religioni, testimoniata dall’impianto “estetico” (riti, simboli e sacralità) da esse elaborato, alla quale però non corrisponderebbe una sincera adesione valoriale.

Affrontando la seconda parte del libro, l’Autore ha invece approfondito il tema della presenza del “male” in economia, espressa dall’attuale degenerazione del sistema capitalistico, impegnato in una ricerca del profitto anche a danno della comunità.

Passando alla terza parte, Saccà ha parlato della collocazione dell’Unione Europea nel nuovo quadro internazionale, esprimendo il desiderio per un rafforzamento dei rapporti tra Europa e Russia, sulla base di tre motivazioni: il fatto che gli Stati Uniti non sarebbero più in grado di aiutare il Vecchio Continente, la complementarità delle economie europee e russa e, infine, il fatto che anche Mosca si trova a dover fronteggiare l’avanzata della vicina la religione islamica.

 

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Michela Nacci, Storia culturale della Repubblica (Bruno Mondadori) con Giovanni Dessì

Venerdì 9 aprile 2010, nell’ambito degli incontri Un Libro un Autore fra storia e attualità, la Fondazione Ugo Spirito ha presentato il volume di Michela Nacci, Storia culturale della Repubblica (Bruno Mondadori).

L’incontro è stato introdotto da Giovanni Dessì che ha sottolineato come il punto di forza di questo libro consista nel “mappare” i punti nodali del dibattito culturale italiano dal secondo dopoguerra ad oggi, rifuggendo da un’impostazione ideologica o accademica.

Michela Nacci ha poi spiegato le ragioni che l’hanno spinta ad intraprendere questo lavoro. Innanzitutto l’assenza di una storia della cultura italiana nell’epoca della Repubblica, che si fondi su una visione interdisciplinare, in grado quindi di cogliere il progressivo allargamento di ciò che è “cultura” fino a settori non tradizionali come la musica e la cucina.

In secondo luogo, l’esigenza di ripercorrere l’evoluzione degli strumenti di diffusione della cultura, dagli originari ambiti della scuola e dell’università fino alla televisione ed internet, per tentare di comprendere come, in funzione degli strumenti, siano stati modificati gli stessi contenuti culturali.

In terzo luogo, il desiderio di comprendere le trasformazioni determinate sulla cultura alta dall’affermarsi della cultura di massa.

La Nacci ha poi ripercorso alcuni dei momenti cruciali della dibattito culturale italiano: il confronto con il fascismo, che ha coinvolto, con prospettive diverse, Bobbio, Garin, Del Noce e De Felice; il rapporto tra gli intellettuali e la modernizzazione economica e sociale degli anni Sessanta; la complessa reazione del mondo della cultura di fronte all’avvento dell’elettronica e dei nuovi mezzi di comunicazione.

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Alessandro Orsini, Anatomia delle Brigate Rosse. Le radici ideologiche del terrorismo rivoluzionario (Rubbettino) con Giuseppe Parlato e Danilo Breschi

Giovedì 18 marzo 2010, nell’ambito degli incontri Un Libro un Autore fra storia e attualità, la Fondazione Ugo Spirito ha presentato il volume di Alessandro Orsini, Anatomia delle Brigate Rosse. Le radici ideologiche del terrorismo rivoluzionario (Rubbettino).

L’incontro è stato introdotto da Giuseppe Parlato e Danilo Breschi, che hanno sottolineato come il volume tenti di giungere alla radice del fenomeno terroristico (sia “rosso” che “nero”), seguendo un’analisi sociologica ed antropologica.

Prendendo la parola, Orsini ha innanzitutto criticato le tre interpretazioni (complottista, stragista e del “blocco di sistema”) che avrebbero minato la comprensione del fenomeno brigatista in Italia ed in particolare le motivazione della sua longevità.

Passando ai contenuti del lavoro, l’autore ha spiegato di averlo articolato in tre parti:
1) chi sono i brigatisti;
2) perché uccidono;
3) da dove vengono.

La prima parte consiste in una descrizione della vita quotidiana dei brigatisti e di come si è strutturato il loro movimento.

Passando alla seconda, Orsini ha esposto la sua teoria del feedback eversivo-rivoluzionario, che attraverso una ricostruzione psicologica del terrorista, ne rintraccia la motivazione ad uccidere nella volontà di “purificare” il mondo dalle ingiustizie.

Orsini si è posto dunque in radicale contrapposizione con la tesi secondo cui è possibile spiegare in maniera razionale il fenomeno terroristico. Al contrario – e passando alla terza parte della ricerca – ha spiegato che il sistema di pensiero dei brigatisti coincide con quello dei militanti delle sette religiose rivoluzionarie, ossessionati dalla purezza e dalla convinzione che esistano degli eletti chiamati a salvare un mondo sull’orlo di uno scontro apocalittico tra le forze del bene e del male. È da questa tradizione mistico-religiosa che proverrebbero le Br.

 

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Tavola rotonda, Città, regione, nazione: spazi politici e dimensioni territoriali nella storia d’Italia.

 Tavola rotonda 

Città, regione, nazione: spazi politici e dimensioni territoriali nella storia d’Italia.

Hanno partecipato: Mario Ascheri (Università di Roma Tre), Dino Cofrancesco (Università di Genova), Luca Mannori (Università di Firenze) e Giuseppe Parlato (Presidente Fondazione Ugo Spirito).

Giovedì 25 febbraio 2010, la Fondazione Ugo Spirito ha organizzato una tavola rotonda dal titolo “Città, regione, nazione: spazi politici e dimensioni territoriali nella storia d’Italia“. Hanno partecipato Mario Ascheri (Università di Roma Tre), Dino Cofrancesco (Università di Genova), Luca Mannori (Università di Firenze). Per la Fondazione Spirito sono intervenuti Danilo Breschi e Giuseppe Parlato.

I lavori sono stati introdotti da Danilo Breschi, che ha sottolineato l’interdisciplinarietà dei relatori e dunque dell’approccio seguito per mettere a fuoco il ruolo dalla dimensione territoriale nella storia d’Italia.

L’intervento di Mario Ascheri si è soffermato sull’esperienza tardo medioevale delle città-stato, le cui tracce sono visibili ancora oggi. Secondo Ascheri, ciò è dovuto al fatto che i comuni sono riusciti a sopravvivere, con le loro tradizioni, anche nel periodo degli Stati regionali. Alcune dominazioni, come quella veneziana, non attuarono una politica di assimilazione di questi centri, con il risultato di rafforzare l’identità dei dominati in contrapposizione al potere centrale dominante.

Altri elementi sopravvissuti all’esperienza delle città-stato caratterizzano invece il dibattito politico. La città urbana, infatti, si è sempre caratterizzata per la ricerca di una concordia totale, che esclude il pluralismo degli orientamenti. Il linguaggio politico è così contraddistinto da messaggi universali, generalizzanti, predominanti ancora oggi.

L’intervento di Dino Cofrancesco ha evidenziato che l’esperienza delle città-stato si ricollega alla tradizione democratica, non a quella liberale, perché non ha mai previsto alcuna difesa dei diritti individuali. Si tratta di un aspetto centrale perché quando si riprende il pensiero di Cattaneo e la sua concezione del federalismo, occorre sottolineare che, da buon liberale quale era, l’esperienza a cui egli si ricollegava non era quella delle città-stato ma del Belgio e dell’Olanda. Passando al dibattito attuale, Cofrancesco ha dunque sottolineato che per il pensiero liberale il vero problema non è la localizzazione del centro di potere politico, ma i limiti di questo potere nei confronti dell’individuo.

Luca Mannori ha aperto il suo intervento concordando con Cofrancesco e sottolineando che per secoli il concetto di libertà non è stato concepito nel rapporto tra individuo e Stato, ma nel rapporto tra città-stato o comunque comunità urbana e potere centrale, confondendo il concetto di libertà con quella che in realtà era una forma di autonomia. Nella seconda parte dell’intervento si è invece focalizzato sul persistere della tradizione delle città-stato anche nell’epoca degli Stati regionali. Questo pone un problema storiografico rilevante (ed ancora inesplorato) determinato dalla necessità di comprendere il passaggio da forti identità locali alla nascita dell’identità nazionale.

Infine, Giuseppe Parlato ha confrontato l’esperienza italiana con quella europea, evidenziando che se nel resto del continente gli Stati nazionali si sono formati nel ‘300, in Italia si è cominciato a parlare di nazione solo nel 1848. Ciò è all’origine di una debolezza del sentimento nazionale in Italia, cui fanno da contraltare forti identità locali. Dal Trecento, in Italia, è esistita solo una “nazione letteraria” – nel senso della presenza di una lingua comune utilizzata nella cultura e negli scambi commerciale. La religione cattolica ha invece agito da elemento unificante ma non identitario. In sostanza, per secoli sono mancati elementi che potessero permettere la nascita di un’identità nazionale prevalente sulle identità locali rappresentate dalle città-stato. Rifacendosi agli studi di Rosario Romeo, Parlato ha dunque spiegato che la nascita di uno Stato nazionale nella seconda metà dell’Ottocento fu percepita dalla borghesia come necessaria per la crescita economica e all’avvio del processo di industrializzazione. Al momento di scegliere tra l’opzione federalista ed uno Stato nazionale centralizzato, la classe dirigente optò per quest’ultima tipologia proprio perché cosciente che la debolezza del sentimento nazionale sarebbe stata incompatibile con una strutturazione federalista.

 

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